Togo – Giorno #10-11
Sono in Benin, è iniziata oggi la seconda parte del viaggio che mi vedrà scorrazzare nella terra del voudù. È strano, stasera mi sento quasi triste perché si è chiusa una parte del viaggio che mi ha regalato emozioni fortissime che in un paio di occasioni mi hanno portato sulla soglia delle lacrime. Diciamo che le ho ricacciate giù. L’ultima di queste occasioni è stata proprio ieri, quando ho dovuto salutare Rodrigue, il ragazzo di Kara. Quando ha preso la sua moto e se ne è andato nel mezzo della savana, è stato come dover salutare un amico che sai che non rivedrai forse mai più. Una conoscenza breve che però mi ha dato tanto perché vera, intensa, unica. Ieri mattina Rodrigue mi è venuto a prendere all’hotel, il programma prevedeva che mi portasse a Kandè alle porte del Pays Tamberma. Da lì avrei proseguito da solo. Le cose ovviamente sono cambiate in corso d’opera, la sera prima trovo per caso il contatto di una signora tamberma che offre la possibilità di dormire in una delle case tradizionali, le famose “tata” di cui vi parlerò più avanti. Quale migliore occasione per me, alla ricerca continua di scambi con le persone del luogo? La contatto appena sveglio, non ci intendiamo molto al telefono ma riesco a farle capire che sarò da lei in giornata. Appena Rodrigue arriva, gli dico della signora che mi ospita a Warengo e subito mi dice che mi porterà fino a lì. Tira fuori dallo zaino alcune foto, penso che mi voglia mostrare la foto della ragazza francese e invece no…mi regala due foto che avevamo fatto insieme il giorno prima, una con lui e l’altra di me con il fratello. È andato a stamparle prima di venire a prendermi e mi dice che così mi ricorderò di lui. È stato un gesto spontaneo che mi ha lasciato senza parole, ancora una volta. Ci mettiamo in sella, per arrivare a Warengo sono più di ottanta chilometri.
Nel tragitto ci fermiamo a Niamtougou dove ho letto esserci un centro per disabili che produce artigianato locale. Compro un bellissimo batik che raffigura la cartina dell’Africa, campeggerà a pieno titolo al centro del soggiorno di casa! Ci facciamo anche guidare da uno dei ragazzi del centro per mostrarci tutte le cose belle che fanno.
Arrivati a Kandè chiamo Emilienne, la signora tamberma, ci dice che è al mercato di Nadoba, il villaggio più importante dell’area, e di raggiungerla lì.
Il Pays Tamberma è un luogo incredibile, unico sito del Togo ad essere stato iscritto tra i Patrimoni dell’Unesco come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Che definizione meravigliosa. In un mondo che è governato dalla materialità, dal possesso, dal consumo, si riconosce come patrimonio, qualcosa di immateriale, una cultura.
I Tamberma, chiamati anche Batammariba, sono un popolo che ha mantenuto un forte radicamento con le proprie tradizioni e il proprio territorio, di fatto vivono in questa sorta di riserva di 50.000 ettari nel mezzo della savana. Pare che questo popolo venisse dal Burkina Faso e stesse scappando dalle razzie delle etnie nilotico-sudanesi che andavano islamizzando molte aree dell’Africa Occidentale. Per paura di venire annientati dai nemici, i Tamberma fuggirono verso sud e si rifugiarono sulle alture dell’Atakora, una vasta regione montagnosa a cavallo tra gli attuali Togo e Benin. L’architettura delle loro case riflette proprio questo bisogno di difendersi, sono infatti dei veri e propri “castelli” d’argilla fatti in modo che il nucleo familiare che ci viveva potesse sopravvivere senza dover uscire. Il nome betammari-be significa “coloro che sanno costruire” proprio per questa loro abilità. Al piano terra, una stanza per le bestie e la cucina, al piano superiore le “stanze”, dei veri e propri loculi, il tetto piatto dove dormire nella stagione calda e dei granai con tetto di paglia dove custodire le provviste. Fuori dalla “tata”, questo il nome di queste buffe costrizioni, i feticci degli antenati. I tamberma, infatti, non si sono mai convertiti e continuano a venerare i propri avi e mantenere intatta la loro cultura. I feticci sono delle torrette piramidali di terra sormontate da dei vasi di terracotta, sui quali sacrificare gli animali per poter comunicare con gli antenati.
Nei secoli successivi, i Tamberma continuarono a doversi difendere, non più dalle minacce delle altre etnie ma dagli europei che per almeno due secoli vennero a razziare migliaia, centinaia di migliaia di persone perché venissero deportate come schiavi verso le Americhe.
Terminate le minacce, i Tamberma scesero dalle montagne nella vasta e fertile pianura ai piedi della catena dell’Atakora, diventarono contadini ma continuarono a costruire le tata, anche se non più con scopo di protezione. Immaginate quindi campi sterminati di mais, cotone, miglio e sorgo, alberi di baobab giganteschi, manghi, acacie e qua e là sparsi per la pianura questi castelletti di argilla ancora abitati come secoli fa, con un popolo che continua a vivere dei prodotti della terra. Che vive secondo i ritmi della natura, quando è la stagione delle piogge si semina e si curano i campi, quando è la stagione secca, dopo i raccolti, si sta insieme, si celebra la vita, si tramanda alle nuove generazioni il significato di essere un Tamberma.
Quando arriviamo al mercato, incontriamo Emilienne, una simpatica e a dire il vero un po’ strana signora che porta un cappello e dei finti capelli che sembrano di stoffa. Rodrigue ha ormai deciso di rimanere con me, dice che ormai è tardi per tornare a Kara a lavorare quindi si ferma e giriamo divertiti per il mercato che è un vero melting-pot di etnie. Arriva gente da ogni regione del Togo e anche dal Benin in quanto qui si possono trovare prodotti che altrove non esistono, ad esempio i semi di baobab.
L’attività preferita rimane quella di sedere attorno alle donne che vendono la birra di miglio, il tchoukh, e berne un’infinità di calebasse fino a scoppiare.
Dopo il mercato, andiamo alla tata di Emilienne, siamo nel mezzo della brousse, alle pendici delle montagne, mi mostra la mia tata e dice che posso dormire anche sul tetto, alla “belle etoille” come dicono i francesi. È ora di salutare Rodrigue, deve tornare a Kara, lo vedo allontanarsi in sella alla sua moto. La sera passa tra una coppa di tchoukh e qualche chiacchiera con la grande famiglia di Emilienne, c’è persino un nipote che parla inglese perché ha lasciato la sua zona ed è andato a studiare all’università. È l’occasione anche qui per sguinzagliare la mia curiosità e fare un sacco di domande, per di più in una lingua che padroneggio sicuramente meglio del francese!
La notte che doveva essere alla belle etoille si trasforma in un mezzo incubo, si scatena un temporale per cui devo dormire all’interno dove il caldo è soffocante e le zanzare non mi danno tregua. Ho voluto l’esperienza originale ed eccomi servito! Piove talmente forte che ad un certo punto della notte mi sveglio perché del fango mi piove sul letto. Esco sul tetto ed assisto ad uno spettacolo straordinario: i lampi che illuminano la notte della savana e le sagome dei baobab che appaiono imponenti contro il cielo illuminato a giorno. Sposto il letto per evitare il gocciolio di fango e acqua e riprendo il mio sonno tormentato. La mattina faccio una doccia sul tetto della tata, poi una lauta colazione a base di omelette e nescafé e infine colgo ancora l’occasione per un giro tra i campi, il nipote di Emilienne mi porta a conoscere i suoceri che vivono in una tata vicino.
Vorrei rimanere, è un posto così bello che lasciarlo è difficile. Ma tant’è: mi faccio portare alla frontiera che dista pochi chilometri. Un gendarme in tuta, che sonnecchia pigramente sotto un albero di manghi mi timbra il passaporto e saluto così il Togo, un paese bellissimo, ma soprattutto fatto di gente veramente calorosa che dà senza chiedere nulla in cambio. Una vera rarità…
Arrivo a Boukoumbè, il primo paese beninese dopo la frontiera, la polizia non c’è, dovrò timbrare il passaporto per l’ingresso nel paese a Natitingou, a 50 km da lì. Percorro questa strada con un folle guidatore di zem che in solo un’ora copre la distanza correndo come un pazzo sulle piste di terra rossa dell’Atakora. Tocca ora al Benin, nella speranza che mi possa regalare altrettante emozioni. Bonne chance a moi!