Togo – giorno #1
Lomé è la classica capitale africana. Frotte di persone che si muovono senza soluzione di continuità in modo caotico e incomprensibile a noi occidentali. Mi lancio subito nella mischia, amo questo delirio di gente, questo mondo così colorato e rumoroso. A Lomé le persone si muovono in zem, moto-taxi che ti portano da un lato all’altro della città. Non posso resistere e appena fuori dall’aeroporto, mi faccio largo tra i taxisti e mi butto in strada in cerca del mio zem. In realtà non sei tu a cercarlo ma è lo zem che viene a te, in men che non si dica sono a bordo di uno scalcinato motorino che si fa largo tra milioni di altre due ruote e automobili per le strade della capitale!
Arrivo a fatica da Joh, un signore danese che da quattordici anni vive qui e gestisce una ONG. Mi racconta il suo progetto e di come è arrivato in Togo, come missionario. Ha girato il mondo e vissuto in tanti angoli del pianeta ma mai come in Africa ha trovato un posto da chiamare casa. Andiamo insieme al Service des Passports, sorta di ufficio immigrazione della capitale dove è possibile prolungare il proprio visto, dal momento che quello fatto in aeroporto vale solo sette giorni.
Il tempo di rimettermi in sesto e sono di nuovo in strada. Prendo uno zem – credo diventerà il mio sport preferito in questi giorni: cavalcatore di zem! Arrivo in città e corro a vedere il mare. È vero, Lomé è la classica capitale africana ma non tutte hanno l’oceano e questo le dona una certa dolcezza.
La spiaggia bordata di palme, la sabbia granulosa, i bambini che giocano… girovago un po’ e tutti i ragazzi, quando mi vedono, chiedono di fare una foto. Fare il bagno è proibito, la corrente è fortissima, ti porterebbe via in men che non si dica. Qualche ragazzo caccia le onde sulla battigia ma senza avventurarsi oltre. Torno al mercato, nel piccolo centro della capitale togolese. Mi racconta Ibrahim, che mi ferma per strada mentre giro per le strade affollate con un po’ di smarrimento, che tre anni fa il Grand Marchè è bruciato. Da tre anni il presidente promette di ricostruirlo e, nel frattempo il mercato si svolge per le strade. La quantità di bancarelle è così esplosivamente elevata che tutto il centro della città è un grande mercato a cielo aperto!
Mi affido a Ibrahim, mi sembra un bravo ragazzo e si arrabatta come può con un po’ di artigianato locale e facendo da guida agli sparuti turisti (in realtà ieri non ne ho visto nessuno). Mi presenta le sorelle che lavorano al mercato e salutiamo un buon numero di amici e parenti! Dopodiché gli chiedo se conosce il mercato dei feticci, ho letto sulla guida di questo mercato tradizionale che vende feticci per i riti animisti vudù. Sono incuriosito, Joh da buon missionario mi dice che oramai quasi tutta la popolazione — almeno nella capitale — ha smesso di praticare le religioni ancestrali e si è convertita al cristianesimo nelle sue mille forme sincretiche che abbondano in terra africana. Il Marchè des fetiches in effetti è in un quartiere periferico della città che si chiama Akodessewa e ci vuole più di mezz’ora per raggiungerlo. Visito il mercato, ha un’aria vagamente decadente e oggettivamente non sembra molto frequentato.
Un ragazzo ci mostra le bancarelle coperte di animali morti che servono ai più svariati scopi: vertebre di serpente per curare i reumatismi, camaleonte per le pene d’amore, teste e zampe di scimmia, crani di cavalli e buoi, cani, roditori, conigli e tartarughe, non manca veramente nulla e il simpatico odore che emettono me lo sentirò attaccato ai vestiti fino a sera.
Entriamo dal feticheur, ovvero colui che officia i riti. In realtà è assente ma troviamo il figlio, è un’atmosfera un po’ buffa perché è un giovane ragazzo sui vent’anni che tutto sembra fuorché l’officiante di riti ancestrali. Credo sia tutto ricreato per fare felice chi capita qui, ammesso che qualcuno venga a destare la tranquilla sonnolenza di questo posto. Mi mostra — e ovviamente cerca di vendere — tutti gli strumenti che il feticheur usa per aiutare chi lo interpella tra cui un piccolo tronchetto con un buco in cui sussurrarci i propri desideri di un viaggio sicuro. Previa chiusura del tappo, per non far uscire le parole, tutti gli spostamenti e i trasporti richiesti saranno protetti e sicuri. Declino gentilmente l’offerta, non vorrei che la mia eresia verso i culti ancestrali mi attirasse qualche sfiga…
Nel mercato l’atmosfera si è improvvisamente fatta elettrica: sulla soglia è apparso un signore e i ragazzi delle bancarelle cominciano a chiamarlo a gran voce, ognuno verso di sé. Mi dice Ibrahim che è un acquirente e i ragazzi cercano di accaparrarselo. Solo quando raggiunge uno dei banchi, gli altri si quietano.
Ci rimettiamo in strada, qui in periferia è ancora peggio che nel centro, strade intasate e piene di smog, tossisco a pieni polmoni!! Mi faccio aiutare da Ibrahim a trovare una SIM card locale, alla fine spunta fuori un tizio che smercia le schedine e me ne fa avere una. Saluto Ibrahim e gli lascio qualcosa per la sua guida. Mi allontano ma lui mi rincorre mentre sto per prendere l’ultimo zem della giornata e mi regala una collanina con ciondolo a forma di djembe, un gesto semplice, me lo allaccia al collo dicendo “per il tuo viaggio”.
E questo sono sicuro che mi proteggerà. Buon inizio a me!