Burkina Faso – Giorni 4–13
Ho appena lasciato Koubri e ho preso al volo un bus da Ouagadougou per Bobo Dioulasso insieme ai miei nuovi amici ballerini Michael e Idriss. Sarà un lungo viaggio di sei ore nella nera notte burkinabé a bordo di un bus come sempre scassato. Mi lascio andare ai ricordi, il campo di lavoro è finito. Non ho avuto forze per scrivere quotidianamente, troppi erano gli input che, come scariche elettriche, arrivavano al mio cervello. Ho attinto a piene mani, mi sono sporcato di terra africana, a cui il mio sudore ha reso onore bagnandola copiosamente. Ho messo da parte tutto il mio bagaglio di conoscenze e di certezze occidentali e ho ascoltato, spesso in silenzio, quello che la gente del posto aveva da dirmi.
Ho tante storie, tante immagini in testa, tante cose che affiorano, proverò a raccontarvene qualcuna. Se uno solo di voi dopo questo diario decidesse di intraprendere un viaggio nell’Africa nera, avrò raggiunto il mio scopo.
Hado e Michael sono di due etnie diverse: Hado è Mossi, Michael è Dioula. Parlano due lingue diverse, talmente diverse che non si capiscono. Per comunicare devono usare il francese. Forse la cosa vi sembrerà di poco conto ma pensate a quando il francese non esisteva, quando l’uomo bianco non era ancora arrivato qui. Un paese con sessanta etnie, sessanta lingue diverse, popoli che non si capiscono eppure convivono pacificamente. Com’è possibile? L’Europa, l’Occidente insegna che le differenze hanno sempre portato a guerre di territorio, scontri all’ultimo sangue e mattanze.
Qui invece si sono inventati una cosa splendida, che personalmente ho trovato geniale. Si chiama “plaisanterie” ed è una tradizione antica di centinaia di anni. In pratica ogni etnia ha due etnie “partner” con cui è lecito ogni tipo di insulto e scherzo. Ad esempio, se Hado che è Mossi incontra Idriss che è di una di queste etnie “partner”, si iniziano a insultare. Ogni insulto è lecito, tra giovani e vecchi, tra uomini e donne. Gli insulti si possono spingere anche fino a scherzi pesanti, ad esempio un’etnia può interrompere un corteo funebre di un’altra etnia, rubare il corpo del defunto e richiederne un riscatto. È una battaglia senza esclusione di colpi. Le uniche regole sono di rispettare la plaisanterie (ovvero si scherza solo tra etnie partner) e che appunto si deve risolvere tutto nello scherzo.
Per chi non conosce, questa cosa è indecifrabile perché ti trovi davanti due persone che iniziano a litigare e pensi che ci sia qualche grave problema in corso. Per loro invece è un metodo di convivenza. Si scherza ma non ci si fa la guerra. Si rispettano le differenze. E questo ha permesso di mantenere lo stato di pace per lunghi anni. I burkinabé sanno qual è il valore della differenza culturale, l’altro è pur sempre mio fratello, anche se non lo capisco, anche se ha usanze diverse dalle mie. E vi garantisco che ogni etnia qui ha un patrimonio di tradizioni ancestrali ricchissimo e le differenze tra le varie etnie sono anche profonde.
Ossigeno per il mio cervello, mi sento anche io africano, perché le diversità per me sono un patrimonio, il sale della vita. Viaggiare per me è un mezzo per vivere di queste diversità, per questo scelgo sempre paesi in cui il turismo non è sviluppato. Per evitare che queste diversità siano corrotte e distorte.
A Hado piace suonare di mattina, mi sveglio al suono della cora, lo strumento a tredici corde la cui cassa di risonanza è fatta con una zucca. Mi siedo a tavola e attendo come un bambino uno dei suoi racconti. Hado è animista, crede che la natura governi il mondo e che l’uomo appartenga alla Terra. Non che la Terra appartenga all’uomo. E crede che all’uomo non sia data la possibilità di conoscere il segreto profondo che la natura possiede. Il segreto della vita. L’anello di congiunzione sono gli antenati, coloro che hanno oltrepassato la vita corporea e hanno conosciuto questo segreto. Mi dice “La vedi quella piccola pianta?” indicando nel giardino un alberello. “È un giovane baobab, possiamo prendere le foglie e farci un sugo”. Ribatto “Ma è molto piccolo, rischiamo di rovinarlo”. Mi spiega che secondo la sua religione, le foglie vanno raccolte e mangiate perché il baobab è vivo, ha bisogno che l’uomo interagisca con lui altrimenti muore.
Il baobab è la reincarnazione degli antenati, quando un baobab muore, un vecchio saggio del villaggio ci lascia. Di notte — dice — il baobab si muove, diventa un uomo ed entra nei sogni delle donne oppure diventa una donna e si presenta nei sogni degli uomini. Ogni tanto Hado fa un salto al vecchio baobab dietro casa e gli porta dei regali, ci parla, si confida, gli chiede un consiglio. Bevo il mio caffè, non trovo le parole per fare domande, è tutto così lineare nelle sue parole, tutto così semplice da lasciare interdetti.
Le giornate scorrono serene, lavoriamo tanto. Abbiamo messo a dimora centosessanta alberi di acacia al campo. Le donne levano le sterpaglie dalle piante di fagiolo e vanno al pozzo a prendere l’acqua. Ci salutano. Il campo è la loro speranza di un futuro migliore, cibo per le loro famiglie, quaderni per i loro figli. Il lavoro a scuola è stato impegnativo, tenere a bada un centinaio di bambini non è semplice. Abbiamo cercato di insegnare giocando i rudimenti dell’alimentazione. A dire il vero ho imparato cose che non sapevo nemmeno io. Ad esempio, lo sapevate che la cipolla è la foglia della pianta e non il frutto?
A Stone House la vita è serena, dopo il lavoro coi bambini carico un secchio di acqua e mi lavo. A secchiate. Anche qui niente acqua corrente, c’è la corrente e la luce ma solo negli spazi comuni, sotto la grande copertura in paglia dove avviene tutto. Si mangia, si sta insieme, si suona, si fuma, si balla, si ascoltano i racconti. Esci a fare due passi la sera e la Via Lattea è sempre lì, un fiume bianco in mezzo ad un tappeto di stelle. Che cieli che mi ha donato questa terra! Ripenso ai giorni passati, altri aneddoti tornano a cullarmi, gli elefanti allo stato brado incontrati per caso, le donne al mercato coi loro figli sempre attaccati alla schiena con le fasce colorate, la gioia di sentire la prima melodia suonata con la cora dalle mie mani, la forza esplosiva del djembe, le lezioni di danza in cui scatenare le forze ancestrali sopite. Sono troppi, mi sembra che la mia testa non riesca a contenerli, ho paura di dimenticarmeli, vorrei la banca della memoria per raccoglierli e preservarli.
Il bus corre lento sulla route nationale, ogni tanto rallenta e supera un dosso facendoci saltare sui sedili. Michael e Idriss pisolano, stanotte sarò loro ospite. Metto le cuffie dell’ipod e sogno ad occhi aperti, ricordando tutte le meravigliose persone fin qui incontrate. Grazie Habdila, Abzeta, Abas, Claude, Nat, Americain e Dolar, grazie Hado e Flora. Grazie ai miei compagni di avventura. È ora di riprendere la strada da solo col mio zaino, senza sapere domani cosa mi riserverà questa terra incredibile…Lafi!