Camerun – giorni #16–17
È il grande giorno!
Ancora non riesco a credere di aver avuto questa fortuna, coincidenza ha voluto che proprio oggi ci sarà la più grande festa per il popolo dowayo: la festa della circoncisione.
Mi sveglio presto, come sempre d’altronde, qui le giornate iniziano alle 6.30 dal momento che il buio arriva presto. Dopo aver fatto colazione, apro il mio fedele alleato, il libro di Nigel Barley “Il giovane antropologo”, per ripassare i fondamentali della cultura dowayo. Voglio arrivare preparato per cercare quanto più possibile di afferrare il simbolismo che permea gli eventi in questo genere di celebrazioni.
Dice Barley:” I maschi non circoncisi portano la macchia della femminilità. Sono accusati di emanare il cattivo odore delle donne a causa del prepuzio sporco, non possono partecipare a tutti gli eventi maschili e sono sepolti insieme alle donne. Cosa peggiore non possono fare giuramento sul loro coltello. Ci si riferisce al coltello della circoncisione, un oggetto potente che ha la capacità di uccidere le streghe. Il tipo di circoncisione in uso tra i Dowayo è molto invasivo, dato che al pene viene rimossa la pelle per tutta la lunghezza. Attraverso un processo di morte e rinascita, l’operazione trasforma quella creatura imperfetta per nascita naturale in una persona del tutto maschile”.
Me ne parla anche Alain. Quando esco e ci ritroviamo nella casa di una donna che prepara il bouirou, indago sulla sua esperienza in materia di circoncisione. Me ne parla con estrema serietà e con grande soddisfazione. È stato circonciso all’età di undici anni e – mi dice – quando torni a casa non sei più quello di prima. Tua mamma e le sorelle, grandi e piccole, non possono più trattarti come prima. Devono portarti rispetto.
E sì, perché alle donne è interdetto qualsiasi contatto o evento che riguardi la circoncisione. Devono essere all’oscuro di tutto e pare che, secondo quanto dice Barley, vedere un pene circonciso possa portare alla sterilità. Per cui i dowayo copulano al buio. Questo almeno stando al libro che riporta l’esperienza dell’autore negli anni ’70. Non chiedo a Alain se anche questo sia vero.
La festa della circoncisione in terra dowayo avviene solo ogni due anni. Per loro, infatti, gli anni si dividono in maschi e femmine e la circoncisione può avvenire solo negli anni maschili. Questo rende ancor più raro poter assistere all’evento di oggi. Ovviamente la mia presenza sarà tutelata dai miei giovani amici che garantiranno per me presso il capo villaggio.
Alain mi racconta che i ragazzi che devono essere circoncisi vengono mandati due mesi nella foresta. Verranno circoncisi dopo due giorni dall’arrivo in foresta dal loro guardiano mediante l’utilizzo del coltello della circoncisione. Dopodiché è loro vietato qualsiasi contatto con altre persone che non siano il guardiano, che si prenderà cura di loro, curando le ferite con piante tradizionali e portandoli a un vero e proprio percorso iniziatico. Dovranno procurarsi il cibo andando a caccia e pesca. Alain ne parla con un orgoglio incredibile, mi dice che bisogna correre tanto in foresta. Che solo così si diventa veri uomini.
Al termine dei due mesi, i ragazzi possono tornare al villaggio. Ed è proprio questo quello a cui assisterò oggi, il loro ritorno a casa tra balli, feste ma anche rigorosi rituali.
Dopo pranzo partiamo per il villaggio in cui avverrà la festa, si trova a mezz’ora di cammino dalla missione.
Siamo io, Alain, Benito e Fabrice, un altro loro amico. La ritualità prevede di dover passare in ognuna delle case dei ragazzi circoncisi per salutare la famiglia e complimentarsi con loro. I ragazzi sono ancora in foresta e arriveranno solo al calare della sera.
Le case sono quattro. Arriviamo nella prima e inizio a sperimentare i miei rudimenti di lingua dowayo, salutando le tantissime persone presenti e assicurandomi che il loro raccolto sia buono (in questo consistono i saluti).
I ruoli sono già ben definiti: le donne di casa stanno nell’aia sedute su stuoie di rafia con cumuli di foglie che sistemano accuratamente per preparare i loro vestiti tradizionali. Il padre di casa invece è addetto alla distribuzione della birra di miglio, il bouirou. In questa occasione, infatti, la famiglia deve offrire a tutti i presenti e fino alla fine della festa la bevanda della tradizione dowayo. Questo attira ovviamente anche personaggi improbabili, beveroni che passano la giornata e la nottata a scolarsi calebasse piene di birra. In ogni caso, appena seduti, arriva il padre di famiglia con una calebasse gigantesca e ci offre il primo giro. Solo quando la finiamo, passandoci la zucca di mano in mano, possiamo rialzarci e verificare se il padrone di casa è soddisfatto e ci può congedare o se ha intenzione di offrirci ancora birra. Cerco di fare piccoli sorsi, in primo luogo non voglio rischiare di stare male dopo poche ore dall’inizio della festa, in secondo luogo devo essere vigile e sveglio per provare a capire tutto quello che succede. I miei amici, invece, trincano felici. Il bouirou ha un sapore un po’ acre e un po’ dolce, Barley dice che sembra zuppa di piselli perché in effetti viene servito tiepido. Ma a me non dispiace, devo essere sincero!
Passiamo quindi di casa in casa, salutando uomini, donne, bambini e soprattutto anziane che sembrano stupite della mia padronanza della lingua dowayo. In effetti una volta smarcati i saluti, resto ebete davanti alle loro parole cercando con gli occhi l’aiuto di Alain assolutamente divertito e orgoglioso di aver portato un bianco alla festa.
Inizia a tramontare, dal punto in cui siamo riusciamo a vedere in lontananza il fiume e una piccola radura con degli alberi dove i ragazzi circoncisi sono attorniati da uomini del villaggio. Alain mi spiega che ora andranno a lavarsi al fiume e poi inizieranno a prepararsi ed abbigliarsi. La tradizione vuole che i giovani circoncisi indossino una gonna di foglie e un copricapo fatto con le stesse foglie che gli copra completamente il viso in modo da non essere riconoscibili.
Nello stesso modo dovranno essere abbigliate le madri e le sorelle, con il capo coperto. Non potranno riconoscere i loro figli sino al termine della cerimonia.
Si alza un vento forte, nubi nere minacciano pioggia. Dico a Benito che sta per piovere. Mi dice che no, non pioverà, quella è la tradizione. Sono gli antenati che salutano i ragazzi. Ed in effetti con mio sommo stupore, non scende nemmeno una goccia d’acqua.
Quando è ormai buio, sentiamo in lontananza l’eco di un tam-tam. Sono i ragazzi che si stanno muovendo verso il villaggio. La piazza è in fermento, coi ragazzi ci buttiamo a correre sul fianco della collina per raggiungere i giovani che stanno risalendo. Ci uniamo al codazzo. Appena arrivati, inizia un vociare incredibile. Chiedo ad Alain cosa succede. Mi spiega che sono gli uomini del villaggio che stanno negoziando con il guardiano dei ragazzi la sua ricompensa. Fa parte della tradizione, prima di arrivare ad un accordo deve esserci un’accesa contrattazione. Alain va ad ascoltare, si mettono d’accordo grazie all’intermediazione del capo villaggio.
A quel punto i ragazzi entrano nella radura, le donne sono ancora lontane e loro si mettono a danzare in cerchio attorno ad un grosso bastone a due teste.
Dopodiché Alain mi informa che andranno a mangiare, si ritireranno dietro un paravento di rafia e si ciberanno di quello che le donne hanno preparato per il loro ritorno.
Ne approfittiamo per andare a mangiare anche noi. I ragazzi mi chiedono se mangio maiale, al mio cenno di assenso partiamo per i campi illuminati solo dalla mia torcia. Arriviamo nel cortile di una casa dove una ragazza sta cucinando. Ci porge la pentola, illumino con la torcia e non riesco a riconoscere nemmeno un pezzo che abbia una forma riconducibile a qualcosa di familiare. Spengo la torcia, tuffo la forchetta nella pentola e metto in bocca. È terribile, gommoso e gelatinoso, credo della cartilagine. I ragazzi sbranano i loro pezzi e mi dicono “Delizioso, vero?”. Cerco di buttare giù con abbondante birra di miglio.
Quando torniamo al villaggio, la festa è iniziata. Le donne sono uscite tutte coperte di foglie e stanno danzando al suono dei tam tam. I ragazzi circoncisi stanno un po’ più distanti, in fila agitando delle aste coperte di pelo di coda di bue e ballando ad un ritmo cadenzato.
Lascio il telefono ad Alain per scattare le foto, non è ben visto che l’unico bianco della festa si metta a fotografare la tradizione dowayo.
Ci buttiamo nella mischia, quando è quasi mezzanotte la gente sta ancora ballando e bevendo. Alain mi dice che andranno avanti “jusq’au petit matin”, fino alla mattina, quando finalmente si compirà la cerimonia e i ragazzi rientreranno nelle loro case.
Ci ritiriamo e torno a dormire alla missione, dandoci appuntamento alle 6.30 per tornare al villaggio.
Quando torniamo la situazione non è cambiata di una virgola, le donne quasi in trance e stanchissime continuano a ballare agitando i loro vestiti di foglie e i ragazzi sempre col capo coperto agitano le loro aste.
Dopo un paio di ore, finalmente qualcosa inizia a muoversi. I ragazzi vengono messi in fila, sono vicinissimo e posso gustarmi tutta la cerimonia chiedendo ad Alain spiegazione di quello che sta succedendo.
Per prima cosa vengono fatti inginocchiare, un bambino di qualche anno si para loro davanti e con un colpo secco fa cadere il copricapo di foglie di ciascun ragazzo, che si china in avanti per non farsi riconoscere.
Le teste e i corpi dei ragazzi sono coperti da un unguento purpureo. È terra ferrosa del fiume.
Quando sono tutti scoperti e chini su loro stessi, il guardiano passa da ciascuno di loro e ascolta la loro richiesta a bassa voce.
È dato loro facoltà, infatti, di richiedere alle proprie madri una ricompensa, sia essa in denaro oppure in bestiame. Alain dice che aveva chiesto denaro e una capra, che la donna dovrà sacrificare entro il giorno successivo alla festa. In caso contrario il ragazzo dovrà tornare in foresta.
A questo punto i ragazzi alzano le teste e arriva il momento topico, arrivano le madri e a turno passano davanti a ciascun ragazzo. Prima ricevono una collana che i ragazzi hanno al collo, poi le donne intingono un dito in una boccetta d’olio e con esso segnano il petto del ragazzo, che a sua volta lo riprende, ungendo il braccio della donna.
Ignoro il simbolismo di questi gesti ma mi sembrano bellissimi. Tutta l’operazione dura a lungo. Nel frattempo, le altre donne del villaggio continuano a ballare e festeggiare.
Cerco di essere il meno visibile possibile ma un’anziana viene a portarmi due mazzetti di foglie e mi invita a ballare. Mi ritrovo in mezzo alla mischia, con tutti i cellulari puntati per riprendere il bianco che balla la danza dowayo. Provo un po’ di imbarazzo ma poi mi lascio andare.
Ora i ragazzi vengono fatti mettere in riga, inizia l’ingresso alle case. In gruppo, dovranno strisciare inginocchiati dentro ciascuna casa, nella cui aia sono allestiti degli altari coperti da una stuoia. Quando i ragazzi circondano l’altare, il guardiano toglie la stuoia e al centro ci sono delle zucche piene di pane e una salsa di foglie. A questo punto il guardiano imbocca ad uno ad uno i ragazzi che immediatamente sputano il boccone. Anche in questo caso ignoro il simbolismo.
Quando si stanno spostando dalla prima alla seconda casa inizia a soffiare un vento fortissimo. Nuvole nere si affacciano all’orizzonte e Alain mi avverte che la cerimonia è finita. Terminato il giro delle case, i ragazzi potranno rientrare.
Decidiamo quindi di tornare verso Poli e quando siamo a metà strada inizia a piovere. Non facciamo in tempo a mettere piede a casa di Alain che si scatena il più violento temporale da quando sono arrivato.
Non faccio domande, ne ho fatte troppe, ma dentro di me sono certo che siano gli antenati che finalmente si possono sfogare, felici per i loro ragazzi.
Aspetto che spiova, mi sento inebetito e inebriato. Non credo avrò mai più occasione di assistere a uno spettacolo del genere.
Ho visto il cuore dell’Africa, e ci sono saltato dentro.