Benin – Giorni #12-13
Siete mai stati ricevuti a corte da un re? A me è capitato ed è stato un incontro un po’ bizzarro e un po’ magico. Avevo comprato prima di partire un libro dell’antropologo italiano Marco Aime, che vi consiglio di scoprire, che racconta una storia avvenuta qualche tempo fa a Seseirhà, un villaggio di montagna arroccato sulle alture dell’Atakora in Benin. Qui vivono i Taneka, un’etnia molto piccola che ha preservato negli anni tutta la sua autenticità proprio perché isolato. Marco Aime aveva vissuto nel villaggio per qualche mese per studiare la cultura taneka e proprio mentre era qui, è avvenuto un fatto che si è tradotto in un breve romanzo molto bello dal titolo “Le nuvole dell’Atakora”.
Il libro racconta di quando a Seseirhà arriva una ONG francese che vuole costruire un nuovo mercato più moderno e attrezzato. Tramite il sottoprefetto, viene convocato il consiglio degli anziani che si oppone alla costruzione del nuovo mercato in quanto la posizione del mercato storico è stata dettata dal volere degli antenati, per cui non è possibile spostarlo. I fondi sono già stanziati per cui la ONG costruisce comunque il nuovo mercato che rimane chiaramente deserto e inutilizzato. È proprio a quel punto che il sottoprefetto orchestra la distruzione del vecchio mercato e scatena la rivolta dei taneka che riescono dopo varie vicissitudini a riavere il vecchio mercato e continuare la loro vita che secoli e secoli di storia hanno voluto così. Questa storia e questo libro che racconta con passione la cultura e la determinazione del popolo Taneka, hanno creato in me la voglia di conoscere di persona i protagonisti del libro. Sesheirà è governata da un re, Tinga Sawa, e l’entità religiosa del villaggio è rappresentata dallo chef feticheur, Danierì, una sorta di sacerdote che regola la vita degli uomini grazie alla sua capacità di comunicare con gli antenati. Metto nel mio zaino il libro e parto alla volta di Seseirhà insieme ad Alfonse, un ragazzo beninese conosciuto la sera prima nell’albergo vicino a casa di Wout, un ragazzo belga che mi ospita a Natitingou.
La moto corre veloce sull’asfalto della route nationale, che collega Natitingou a Cotonou, la città più importante del paese sul golfo di Guinea. Dopo una trentina di chilometri, siamo a Copargo, un villaggio ai piedi della montagna dei taneka. Prendiamo la pista che si inerpica in montagna e dopo qualche chilometro dobbiamo lasciare la moto per proseguire a piedi. Arrivati al villaggio di Taneka Koko, ci accoglie un ragazzo che scopriremo più tardi essere il figlio del re. Il Tinga Sawa raccontato nel libro è morto l’anno scorso e il nuovo Tinga Sawa è il figlio, ovvero il padre del ragazzo. Lui parla francese, nel villaggio poi scoprirò che l’unica lingua parlata dalla gente è il pila-pila, un dialetto yom del nord beninese. Sarà lui quindi ad essere il mio tramite per conoscere i taneka. Gli racconto del libro, è troppo piccolo per ricordarsi di Marco in quanto la storia è ambientata negli anni ’90.
Ci porta subito a conoscere lo chef feticheur, un allegro vecchino intento a fumare una pipa lunghissima di più di quarante centimetri. È la pipa tradizionale Taneka, che lo chef feticheur utilizza per fumare il tabacco prodotto sulle alture dell’Atakora. Il suo abito tradizionale consiste in un pantaloncino di pelle di capra e un copricapo di rafia intrecciato dalle donne del villaggio. Ci mostra il cortile della sua casa dove riceve le persone del villaggio che vogliono tramite lui comunicare con gli antenati. Al centro del cortile vi è una capanna con tetto di paglia dove sono sepolti i vecchi feticheur, quindi un luogo sacro intriso di sacralità. Dentro la capanna, crani di buoi e piume di uccelli sono appesi un po’ ovunque.
Il figlio del re ci porta poi a vedere la grotta sacra, molto ben descritta nel libro in quanto sede dei sacrifici più importanti. Quando rientriamo al villaggio, si è sparsa la voce del nostro arrivo e tutta la gente ci sta aspettando sotto l’albero che segna il luogo di riunione. Sfodero dallo zaino il libro, non possono ovviamente leggere l’italiano ma sulla copertina c’è la foto di Tinga Sawa e appena pronuncio il nome di Marco si scatena un chiasso festoso di parole incomprensibili per le mie orecchie. Una donna corre in una delle case, esce con una cornice contenente la foto di uno chef feticheur vestito come il vecchino di prima. Il figlio del re mi spiega che si tratta di Danierì, il vecchio chef che era molto amico di Marco quando lui viveva nel villaggio. Mi offrono immediatamente una calebasse di birra di miglio, guardo Alfonse che sembra scioccato, forse anche per lui che è beninese è insolito trovarsi in una situazione del genere!
Dopo un paio di calebasse, provo a chiedere di Tinga Sawa, quello della foto. Mi dicono che è morto e il nuovo re è suo figlio. Camminiamo in direzione della casa del re, immaginatevi comunque che tutto il villaggio è costituito da capanne d’argilla rotonde. Lo troviamo che prende il fresco sotto un albero insieme ad una delle mogli. Il figlio parla fittamente nella sua lingua, capisco solo “Marco” ripetuto almeno una decina di volte. Tinga Sawa mi guarda e mi chiede se sono il figlio di Marco. Appurata la mancanza di parentela, mi spaccio per un suo caro amico. Come facevo a spiegare che avevo solo letto un libro? È stata una bugia a fin di bene!
Il re si allontana, mi fanno sedere nella sala del ricevimento. Dopo dieci minuti riappare, si è cambiato e porta ora gli abiti tradizionali, un ventaglio di paglia colorato e il bastone del potere raffigurante il popolo taneka: vi sono scolpiti un leone simbolo della forza, l’abitazione tradizionale rotonda, l’elefante simbolo di saggezza, l’uomo taneka che sorregge questi elementi e più sotto tre donne che non so per quale motivo hanno ciascuna occhi, orecchie e bocca coperte come le scimmiette di “non vedo, non sento, non parlo”.
Rimaniamo nella sala a lungo, porgo i miei ringraziamenti al re che appare veramente felice di vedermi. Dice che Marco ha fatto tantissimo per i taneka, li ha aiutati a costruire la scuola ed ha lottato al loro fianco con la difficile vicenda del mercato. Mi congedo donando 1.000 cfa al re, come segno di gratitudine per avermi ricevuto e promettendogli di inviargli la gigantografia della foto che gli ho fatto che vuole appendere nella sala del ricevimento.
Torniamo verso Natitingou facendo una piccola deviazione alle cascate di Kota, Alfonse ride per questa esperienza. Io mi sento ancora una volta spaesato, è un mondo talmente lontano da noi che possiamo solo riceverlo ed accogliere la bellezza di questa diversità. Ringrazio Dio, o forse dovrei scrivere gli antenati, perché nel mondo c’è ancora qualcuno che preserva le proprie tradizioni ed ha una storia e una cultura da tramandare alle generazioni future.