Monte Manengouba Camerun
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Mbo e Peul, storia di una convivenza

Camerun – giorni #4-5

Mbouroukou in lingua mbo significa “villaggio di quelli che non sanno niente”. Alain è un ragazzo di etnia mbo che oggi mi accompagna alla scoperta della loro montagna sacra, il monte Manengouba. Il villaggio si trova proprio ai piedi della montagna e quando partiamo, di buon mattino, è già tutto un pullulare di persone tirate a lucido con gli abiti della festa. Chiedo lumi ad Alain che mi spiega che oggi si terranno i funerali di un anziano notabile del paese e per questo bisogna celebrarlo con canti e musica per tutta la giornata. Attraversiamo tutto il paese che si inerpica sul fianco della collina, immerso tra campi di banani e caffè. La giornata, come sempre in questa stagione, è parecchio incerta, una sottile nebbia avvolge le pendici della montagna e rende l’atmosfera davvero suggestiva. “Pioverà?” chiedo ad Alain nella speranza che sappia la risposta. Alza le spalle. Di sicuro il meteo non è al primo posto nelle preoccupazioni degli africani.
Iniziamo a inerpicarci, per arrivare ai laghi dovremo superare circa mille metri di dislivello e camminare per almeno quattro ore.

Mount Manengouba Camerun
Salita al monte Manengouba

Gli mbo sono un’etnia che è stata totalmente cristianizzata dalle varie missioni che si sono installate sul territorio nel corso del Novecento. Come sempre, questo non ha loro impedito di fondere il loro credo tradizionale con la cultura cristiana, perpetrando le tradizioni e tramandando il sapere degli anziani.
Alain fa la guida da quindici anni e mentre scala a tutta velocità la montagna, facendomi arrancare non poco, mi racconta che sta cercando moglie, dal momento che ha già avuto un figlio da una precedente relazione e che ha deciso — cosa rarissima qui — di tenere il figlio con sé mentre la ragazza è scappata in città.
Deve accantonare diversi denari in quanto presso gli mbo è necessario fornire al padre della sposa una cospicua dote consistente in 60.000cfa (circa cento euro) oltre a qualche bottiglia di whisky e una capra. Il giorno del matrimonio, questa dote verrà consegnata e l’unione verrà consacrata mediante la rottura di una noce di cola, simbolo di buon auspicio per la giovane coppia.

Peul al Monte Manemgouba, Camerun
Pastore Peul al Monte Manemgouba

Improvvisamente dalla nebbia spunta un giovane a cavallo, scende verso valle. Mi spiega Alain che è un giovane pastore peul che scende a Melong perché è giorno di mercato e deve fare scorta di provviste per le famiglie che vivono nei pascoli in altura. Eh sì, il primo segreto di questa montagna è che a 1.700m di altitudine quando la foresta cede il passo ad ampie radure, vive una comunità bororo-peul.
I peul sono disseminati per tutta l’Africa Occidentale, sono un’etnia nomade che ha vagato per secoli in questa parte del continente e mantiene una lingua comune, il fulfuldé, nonostante le migliaia di chilometri che separano le varie comunità. Nella loro lingua, si definiscono con il nome di “fulbe”, nome che deriva da una parola che significa “libero”. Hanno una reputazione che varia da paese a paese. Non di rado nei miei viaggi precedenti, sono stato messo all’erta dall’incrociare un peul di notte perché — mi dicevano — sono molto pericolosi. Sta di fatto che a me piacciono perché sono nomadi, come me.
La loro attività principale è la pastorizia, vivono in simbiosi con i loro animali e in molti casi si spostano a seconda del periodo dell’anno e delle esigenze delle bestie. Nel caso del monte Manengouba, i peul sono arrivati negli anni ’50 e hanno chiesto al capo villaggio di Mbouroukou di potersi installare sulla loro montagna sacra. Da allora non si sono più spostati e vivono in varie comunità-famiglia in piccole capanne di legno.

Villaggio peul sul monte Manengouba
Villaggio peul sul monte Manengouba
Villaggio peul sul monte Manengouba
Una casa peul
Giovani peul
Giovani peul
Animali dei peul
Animali dei peul

Quando arriviamo al primo villaggio, è quasi vuoto. Sono tutti scesi a fare compere al mercato, tranne i bambini che ci accolgono con giubilo, grida e abbracci. Passiamo davanti alla scuola del villaggio, dove un gruppo di giovani uomini sta preparando i cavalli per la discesa a valle. Scattiamo diverse foto e riprendiamo la strada, che si rituffa nella foresta tropicale, impenetrabile e scura.

Cavalli sul Monte Camerun
Cavalli dei peul sul Monte Manengouba

Gli ultimi tratti sono molto ripidi, ma quando scolliniamo l’ultima salita, rimango a bocca aperta. Quello che si apre davanti ai miei occhi è il gigantesco cratere spento della montagna coperto da una vegetazione verdissima, quasi fosforescente. Le diverse tonalità del verde sono una miriade e, disseminati qui e là, si vedono ancora i villaggi peul.

Foresta sul Monte Manengouba Camerun
Foresta sul Monte Manengouba
Cratere del Monte
Cratere del Monte Manengouba

Tiriamo il fiato, respiro a pieni polmoni quell’aria pulita e poco dopo ci tuffiamo all’interno del cratere per andare a scoprire il suo luogo segreto più prezioso. Saliamo su una collinetta ed eccoli, il motivo della mia ascesa: i famosi laghi gemelli. Da una parte il grande lago femmina, dall’altra il più piccolo e misterioso lago maschio. Di un azzurro cangiante, cambiano colore rispetto al colore del cielo. Quando esce il sole l’azzurro diventa acquamarina. Quando tornano le nuvole, l’acqua diventa di un grigio inquietante. Alain mi spiega che il lago maschio è sacro e solo il capovillaggio può avvicinarsi alle sue sponde. Quando al villaggio c’è un problema serio, lui sale al lago insieme ai suoi notabili e dopo aver sacrificato una capra e averne versato il sangue nelle sue acque, invoca lo spirito degli antenati per chiedere aiuto.
Rimango in contemplazione di quella meraviglia della natura per più di un’ora. Non voglio andarmene. Inizia a scendere una leggera pioggia ma le nuvole all’orizzonte sono più che minacciose.

Laghi Gemelli Monte Manengouba Camerun
I laghi gemelli
Lago femmina monte Manengouba Camerun
Il lago femmina
Lago maschio Monte Manengouba Camerun
Il lago maschio

Alain mi dice che è meglio ripartire, nemmeno il tempo di reagire e la flebile pioggerella si trasforma prima in un acquazzone e poi in un torrente d’acqua tropicale. Ci infiliamo i k-way ma non possono nulla contro quell’acqua. Iniziamo a scendere, in una zona del cratere si sono radunati i tori selvatici di proprietà dei peul. Alain prende un bastone e mi dice di rimanergli attaccato e non mettermi a correre per nessuna ragione al mondo. Possono essere molto pericolosi e, se si sentono minacciati, non esitano ad attaccare. Tremo osservando le loro corna, mentre Alain agitando il bastone e facendo strani rumori riesce ad allontanarli.
Da quel momento inizia la nostra discesa tra acqua, fango e vari ruzzoloni. Arriviamo dopo tre ore alla villa, che anche le mutande sono ormai fradice.
Mi butto sotto la doccia e poi sul letto, esausto.

Discesa dal monte
Fradici con Alain
Discesa dal Monte
Alain si strizza le calze

La giornata finisce con una lauta cena e con un dopo-cena alcolico insieme ad un gruppo di venti giovani dentisti spagnoli, in missione a Yaoundé, che sono arrivati alla villa per il weekend. Giochiamo a quel gioco che si vede anche nel film di Tarantino “Bastardi senza gloria” in cui ci si appiccica un bigliettino sulla fronte e bisogna scoprire chi si è, facendo domande agli altri. Mi capita “Valentino Rossi”, per casualità l’unico personaggio italiano della serata…
Si fa tardi, è stata una giornata impegnativa, è tempo di andare a dormire.

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