#4 Da Ioannina alle Meteore
Giorno 5: Kalarites – Chaliki
(km 24, dislivello +1320/-1300)
L’alba di un nuovo giorno, quello in cui dovrò valicare una catena montuosa e superare il dislivello più importante di tutto il cammino, ha il sapore della sfida. Apro gli occhi quando la luce del mattino ha già iniziato a riempire la valle ma il sole non si è ancora alzato sopra le montagne. Tutto tace. Mi siedo sul piccolo e sgangherato sgabello di legno lasciato sul balcone e mi preparo la solita colazione energetica da tuffare nel cappuccino liofilizzato. Devo partire presto perché sarà una tappa veramente lunga e impegnativa. Riempio la camel bag e la borraccia, sciogliendoci dentro i sali minerali, ritiro tutte le mie cose stese in cortile ad asciugare e faccio lo zaino. Non è mai semplice ripartire da un posto dove si è stati bene!
Saluto idealmente Napoleon e la sua famiglia, che certamente ancora dormono. Sono stati così premurosi con me! Accosto l’antica porta di legno azzurra con quel battacchio stupendo e lascio il mio nido. La prima tappa è Syrrako, il villaggio “gemello” di Kalarites anch’esso popolato dai vlach. È una passeggiata di circa un’ora che da principio percorre il fianco della montagna che tiene nascosta la vista del paese. A un certo punto appare dopo una piccola curva: le case sembrano una manciata di sassi gettati sul crinale. Sono tutte vicine, strette attorno alle piccole viuzze. Alcune si distinguono per dimensione: grandi magioni che sembrano fortezze con piccole finestre sui quattro lati. Bisogna scendere nella gola del fiume per risalire poi verso il villaggio. Se siete a Kalarites vale la pena raggiungere Syrrako a piedi tramite questo sentiero ben segnalato. Per raggiungerlo in macchina, infatti, serve quasi un’ora e più di venti chilometri di strade di montagna e tornanti. Molto più salutare ed emozionante raggiungerlo a piedi per queste mulattiere percorse da centinaia di anni da pastori e gente dei due paesi.
Anche Syrrako è ancora dormiente, sono circa le otto e mezza del mattino, forse le nove. È tutto chiuso e le persone in giro si contano sulle dita di una mano. Chiedo se è possibile trovare un caffè, mi indicano una piccola bottega dove mi fermo a fare quattro chiacchiere con la negoziante e una seconda colazione. Siamo solo io e un anziano con un lungo bastone dal manico ricurvo. Non dice niente. Stiamo silenziosamente fianco a fianco, il suo sguardo scruta l’orizzonte.
Non c’è tempo da perdere, alla prima tappa sono già fermo a riposarmi. Bisogna riprendere la strada, e in fretta anche! Lascio Syrrako percorrendo le sue vie acciottolate, raggiungo la strada carrabile e salgo verso la cima del paese. Da qui sulla destra si stacca il sentiero che in circa dodici chilometri porta da un’altitudine di 1.150m fino alla cima del monte Lakmos a 2.275m. È un sentiero di montagna recentemente reso agibile grazie al progetto chiamato “Epirus Trail”, che è un cammino di 370 km ancora in fase di completamento della segnaletica che attraversa le montagne del Pindo, in particolare si concentra su un grande anello che percorre le valli dello Zagori. Il tratto che da Syrrako porta verso la città di Metsovo è già stato completato a livello di segnaletica e questo agevola il mio percorso di oggi. La prima metà è in leggera e dolce ascesa. Dopo circa cinque chilometri molto piacevoli con qualche albero a ombreggiare il sentiero, si arriva nei pressi di un torrentello che certamente durante la stagione primaverile deve avere una buona portata d’acqua scendendo direttamente da montagne che ricevono forte innevamento. In pieno agosto è niente di più che un rivolo di acqua stagnante che forma delle piccole pozze d’acqua dove nuotano i girini. Ho già consumato una discreta quantità d’acqua e ho scordato di portare il filtro per poter bere anche in situazioni estreme come questa per cui, ahimè, proseguo potendomi solo rinfrescare la testa. Il sole inizia a battere forte, col mio solito turbante in testa devo ora affrontare il tratto più duro sia per la pendenza sia per l’assenza totale di vegetazione sopra i 1.500m di altitudine.
Percorro grandi prati, l’erba è riarsa e l’unica specie vegetale che sopravvive sono delle piante spinose con fiori viola simili a quelli dei carciofi, che mi pungono le caviglie. La salita è costante, non esagerata in termini di pendenza ma sotto questo sole diventa molto impegnativa. Seguo il gps, oltre alla segnaletica del Trail che in qualche punto non è chiarissima e si perde. Quando mi fermo per prendere fiato e bere, nugoli di piccole mosche grandi come la punta di uno spillo accorrono per abbeverarsi del mio sudore. Sono fastidiosissime e non mi permettono di godermi i momenti di sosta per cui tiro dritto. Dopo altri cinque chilometri raggiungo finalmente una strada sterrata percorribile con fuoristrada. Con la mia nuvoletta di mosche sempre al seguito, ne percorro un tratto quando sento dietro di me il rumore di un motore. È la jeep di due simpatici ragazzi greci che stanno viaggiando per queste zone remote e impervie, dormendo in tenda dove capita. Sono attrezzatissimi, addirittura hanno un frigorifero con bevande fresche. Mi allungano una bottiglietta da mezzo litro d’acqua che scolo in un sorso e me ne danno un’altra per ricaricare la borraccia. Ora lo vedo, di fronte a me si staglia il monte Lakmos, chiamato anche Peristeri o Tsukarela: è lì che devo andare. Mancano circa duecentocinquanta metri di dislivello ma la salita è ripidissima. E devo affrontarla sotto il sole dell’ora di pranzo!
L’Epirus Trail prosegue in un’altra direzione, per cui mi avventuro sul fianco della montagna un po’ seguendo la traccia gps e un po’ inventandomi la strada provando a intersecare delle sottili tracce che ogni tanto scorgo sul terreno. Non nego di aver anche un po’ paura. Sono abbastanza esperto di montagna, ma non sono un alpinista e – cosa peggiore – sono solo! Salgo lentamente, non essendoci vegetazione per fortuna ho sempre bene in vista la cima della montagna. Respiro, pensando che mal che vada posso tornare indietro se dovessi essere in difficoltà. Conquisto metro dopo metro quella parete così ripida, fino a quando raggiungo il crinale. Alzo lo sguardo, il paesaggio attorno è lunare e la cima è lì a un tiro di schioppo. Sembra di toccarla! Dalla felicità, percorro quel breve tratto quasi correndo. Faccio un ultimo passo e arrivo sulla cima, segnalata da una colonnina di cemento. Sono su una delle montagne più alte della catena del Pindo, da lassù la vista spazia a 360°. È incredibile! Urlo per liberarmi dalla tensione accumulata e per la gioia. Mi volto e vedo solo montagne, da una parte lo Tzoumerka, più a nord lo Zagori e dietro le montagne dell’Albania, a est la Tessaglia: la vista si apre sulla regione dell’Aspropotamos, prossima area in cui si svilupperà il mio percorso verso le Meteore!
Pranzo in cima al Lakmos, con quella vista che commuove. Sono veramente stanco per l’ascesa ma nello stesso tempo pieno di energia e di emozioni che attenuano la fatica. Da qui, il percorso dovrebbe essere più semplice e praticamente tutto in discesa fino al villaggio di Chaliki – penso tra me e me mentre ricarico lo zaino sulle spalle. Vedo in lontananza il famoso lago di Verliga (chiamato anche Drakolimni – Dragon’s Lake come i suoi omonimi di Tymfi e Smolikas). I laghi del drago secondo il folclore popolare sono specchi d’acqua generati dalla battaglia tra dragoni che popolavano queste valli. In questa stagione Verliga è asciutto, ma tutta la piana ai piedi della montagna è una sorta di grande acquitrino pieno di piccoli corsi d’acqua e zone paludose. Sicuramente nella stagione dello scioglimento delle nevi, questa vasta area dev’essere piuttosto pericolosa per via di tutte queste pozze.
Lascio i dragoni sulla mia destra, e mi dirigo verso est seguendo delle mulattiere utilizzate dai pastori in mezzo a prati questa volta fioriti. Poco più giù scorgo un piccolo edificio in pietra con un recinto tutto intorno. È vuoto ma ha tutta l’aria di essere un punto di appoggio per bestie al pascolo, visto che l’area all’interno del recinto è completamente coperta di escrementi. Inizio a scendere seguendo un sentiero pietroso e vedo infine una persona uscire da quella casetta! Mi viene incontro, è un pastore, valuto possa avere circa la mia età. Mi fa entrare in quel bugigattolo dove passa le estati, alternandosi con il padre, mentre le sue pecore brucano l’erba fresca attorno al lago Verliga. Mi dice con grande orgoglio che i suoi agnelli e le sue pecore sono esportati anche in Italia soprattutto nel periodo della Pasqua cristiana. Gli confesso che devo arrivare a Chaliki, suo paese di origine, e sono rimasto quasi senz’acqua. Mi regala una grande bottiglia da un litro e mezzo, assicurandomi che la discesa a Chaliki è facile e che in meno di due ore sarei arrivato senza problemi. Niente di più falso, purtroppo per me!! Lui percorre quei sentieri almeno due volte alla settimana per cui li conosce a memoria, mi accompagna anche per un pezzo per mostrarmi la traccia da seguire. C’è anche una strada sterrata carrabile ma – mi dice – molto più lunga. Sarebbe stato più facile per me seguire il sentiero…
Proseguo da solo, il primo tratto è ricco di segnaletica tipica dei sentieri di montagna con circoli rossi e bianchi dipinti sulle rocce. D’un tratto però l’erba diventa più alta e di rocce non ce ne sono più. Proseguo affidandomi al gsp fino a quando mi trovo davanti a un crinale franato che mi fa capire di aver sbagliato strada. Sulla sinistra vedo la fenditura di un corso d’acqua in secca. Verifico sul gps: quel corso d’acqua scende fino a Chaliki ed è costeggiato da un sentiero. Decido quindi di provare a raggiungerlo e scendere tra i cespugli. È una fatica immane, perché più scendo e meno mi rendo conto del punto in cui mi trovo. Riesco a raggiungere il letto del torrente ma del sentiero nessuna traccia. Salgo dalla parte opposta ma c’è una pineta impenetrabile e pericolosa. Non ho altra opzione che seguire il tracciato del torrente, tra le pietraie. Dopo un lasso di tempo che mi sembra infinito, finalmente scorgo sulla sinistra il sentiero: sono salvo!! Inizio a percorrerlo baldanzoso e penso di collegare il mio telefono alla batteria esterna per ascoltare un po’ di musica. Qui arriva l’amarissima sorpresa: il cavo di alimentazione del cellulare che penzolava dai pantaloni quando avevo iniziato la discesa verso il letto del torrente non c’è più!!! Perso, sparito, puff!! Non ne ho nemmeno uno di scorta. Provo a ripercorrere i miei passi ma il tempo passa e non voglio rischiare di perdermi per colpa di un cavo. Sconsolato ritorno sui miei passi, pensando di essere veramente nei guai perché mio malgrado ho un I-phone e in quei villaggi spersi tra le montagne recuperare un cavo di quel tipo mi pare impresa impossibile. Mancano ancora quattro giorni all’arrivo in una città che possa avere dei negozi degni di questo nome!
Arrivo a Chaliki stanchissimo, con i piedi martoriati dalla giornata infinita e con poca batteria sul telefono. Sono veramente preoccupato perché, senza cellulare e quindi gps, dovrò rivedere tutti i miei piani: niente più sentieri, solo strade principali. Un trekking da ripianificare. In una delle prime case del paese, nella veranda, scorgo tre ragazzi. Non ci penso due volte e li approccio. Parlano un po’ di inglese, la ragazza più grande è la più spigliata. Mi danno subito qualcosa da mangiare, un toast, delle prugne, e mi scolo non so quant’acqua per reidratarmi. Racconto loro il percorso che ho fatto e quello che mi era appena successo! Sono esterrefatti, ridono increduli di vedermi lì a casa loro, così ridotto. Iniziano a telefonare a tutti gli amici del paese fino a quando – bingo! – la figlia dei proprietari dell’unica taverna di Chaliki possiede un I-Phone e mi può prestare il cavo!!! Li ringrazio e corro alla taverna, mi ristoro e intanto carico il cellulare avvisando mia mamma che non so cosa sarebbe successo nei giorni successivi ma che stavo bene.
La ragazza mi dice di tenere pure il cavo fino all’indomani mattina. Scorgo in lontananza una chiesetta proprio di fronte al centro del paese, al di là del torrente. Ormai l’accoppiata “chiesetta-tenda” so essere vincente. Arrivo quando è quasi buio e mi accampo. C’è la solita canna dell’acqua e stavolta anche un piccolo cimitero con i lumini. Chiedo venia ai morti e mi faccio una doccia fredda proprio dietro l’abside dove ci sono le lapidi.
Mi asciugo, metto dei vestiti puliti e chiudo lo zaino dentro la tenda. Nel frattempo sono arrivate due persone alle quali comunico di essere un pellegrino – la prima cosa che mi viene in mente per giustificare il fatto che fossi accampato nel cortile della chiesa. Mi sorridono, dicono che non ci sono problemi. Raggiungo la piazza del paese e divoro il mio piatto di souvlaki di maiale e di pollo, una grande insalata di pomodori e cetrioli, il tutto innaffiato da una birra Alfa ghiacciata! Sono vivo, e oggi più che mai è l’unica cosa che conta!