#5 Da Ioannina alle Meteore
Giorno 6: Chaliki – Krania
(km 29, dislivello +790/-770)
Le giornate iniziano sempre molto presto. Quando dormi in tenda, i rumori della natura che si desta dal torpore della notte, si insinuano nel tuo piccolo rifugio e non ti permettono di prolungare il sonno molto a lungo. In più anche se si è attrezzati con materassino e sacco a pelo, dormire per terra non è proprio come stare in un letto comodo.
Dopo la giornata devastante del giorno precedente, sia dal punto di vista fisico che mentale, esco sul sagrato della chiesa a sgranchirmi e mi rendo conto che i piedi iniziano a mostrare i segni della fatica e dei tanti chilometri percorsi. Provo a curarmi le evidenti vesciche che affliggono in particolar modo il piede sinistro ma di mettere le scarpe non c’è verso. Opto per una tenuta da vero teutonico: sandalo da trekking e calze rosse a doppio strato di quelle che si usano per camminare. Faccio un po’ ridere ma non ho altra scelta se non voglio zoppicare per tutta la giornata. La tappa di oggi è la più lunga dell’intero viaggio, anche se rispetto a quella del giorno precedente il dislivello da superare è poco più della metà.
Torno alla taverna per restituire il cavo del telefono alla ragazza che gentilmente me l’ha prestato e consulto la mappa cartacea che mi ero portato dall’Italia. Metto subito il telefono in modalità aerea in modo da risparmiare batteria; purtroppo il mio telefono ha già qualche anno di vita e ormai la batteria in modalità di uso standard si esaurisce in poco tempo. Fortunatamente la giornata di oggi si sviluppa prevalentemente su strade asfaltate che collegano i diversi paesini dell’Aspropotamos per cui non ci sono rischi di perdersi o cacciarsi nei guai come il giorno precedente. Mi incammino da Chaliki in direzione sud lungo la strada che percorre la valle principale solcata dal fiume Acheloos, il più importante della regione. L’impressione che avevo avuto ieri all’ingresso di questa remota area della Tessaglia è confermata da questi primi chilometri: sembra di essere stati catapultati sulle Alpi!! La differenza con lo Tzoumerka è talmente abissale che sembra di essere entrati in un varco spazio-temporale e non essere più tra le brulle alture della Grecia settentrionale ma di essere finiti in qualche valle alpina in Svizzera o in Valle d’Aosta.
La vegetazione è fittissima e praticamente composta solo da conifere, la strada che scende da Chaliki è una sinuosa linea di asfalto che corre in mezzo a pini e abeti che, senza soluzione di continuità, tappezzano le pareti di tutta la valle. È uno scenario in qualche modo a me familiare, ma straniante dopo aver percorso quasi cento chilometri in mezzo alle alture dello Tzoumerka che somigliano più al nostro Appennino centrale.
Mi godo il fresco del primo mattino: anche dal punto di vista climatico si sente una netta differenza, l’aria è fresca, il sole non scotta come dall’altra parte e camminare è veramente piacevole, tanto più che la strada scende e non devo continuamente consultare il gps dal momento che sono sulla strada principale.
Supero Anthousa sulla sinistra, senza addentrarmi, e dopo circa dodici chilometri sempre a fianco del fiume Acheloos, prendo la deviazione in salita per il villaggio di Katafito, un piccolo paesino di case sparse dove mi fermo a riposare e bermi la solita limonata al bar della piazza, dove un gruppo di vecchietti sta giocando a carte.
Da Katafito, invece di tornare sulla strada principale, ne percorro una sterrata in mezzo alle pinete che collega questo paesino con il suo “fratello” Kalliroi, sette chilometri più a valle. È un percorso semplice e veramente piacevole che supera poco dislivello in salita per poi ridiscendere in paese. Arrivo a Kalliroi all’ora di pranzo e mi piazzo nella taverna che si chiama “Il tradizionale” (Το Παραδοσιακο), un ristorantino eccellente dove gusto i meze, piattini di specialità simili per vocazione alle tapas spagnole che di solito vengono accompagnati alle bevute di tsipouro. I miei vicini di tavolo sono un gruppo di turisti locali che stanno pasteggiando con la popolare acquavite e mi invitano a farmi un cicchetto con loro!
Dopo una meritata pausa, riprendo il cammino in direzione Krania, la mia tappa finale di giornata. Ridiscendo verso la strada principale di fondovalle percorsa al mattino e ricomincio a camminare a fianco del fiume Acheloos. Questo corso d’acqua, chiamato ora Aspropotamos (fiume bianco) da cui il nome dell’intera regione, è molto importante per la mitologia greca. Secondo fiume più lungo dell’intera nazione, nasce proprio sul monte Lakmos scalato il giorno precedente e prende il nome da Acheloo, personaggio della mitologia figlio del titano Oceano e della titanide Teti, considerato dio delle acque dolci e padre delle Ninfe.
Dopo circa un’ora e mezza, supero la deviazione per Krania perché mi interessa visitare uno dei luoghi più misteriosi dell’intero Aspropotamos: il monastero della santa Croce di Timiou Stavrou di Doliana (Ιερός ναός Τιμίου Σταυρού). La strada per salire al monastero si stacca dalla strada principale sulla destra dopo qualche centinaio di metri dalla deviazione per Krania. È molto semplice arrivarci, tuttavia dopo tanti chilometri percorsi durante la giornata, lo strappo in salita si fa sentire. All’arrivo al piccolo cancello in ferro, però, la stanchezza lascia il passo alla meraviglia: una piccola chiesa in pietra sovrastata da un rosario di cupole di varie dimensioni. Se ne contano ben tredici sopra navata principale, abside e cappelle laterali. I motivi della presenza di così tante cupole sono ignoti, il monastero ha subito un importante intervento di restauro a seguito dei bombardamenti tedeschi della Seconda Guerra Mondiale.
Tergiverso nel prato verdissimo e fiorito del monastero e mi godo la temperatura perfetta del pomeriggio fino a quando decido che è arrivato il momento dell’ultimo sforzo. In meno di due chilometri di salita si raggiunge il centro più grande della regione dell’Aspropotamos: il villaggio di Krania che si sviluppa sulle due sponde di un torrente. Quando arrivo in cima alla sponda sinistra del villaggio, mi sembra un paesino svizzero catapultato tra le montagne greche. Consulto la mappa e capisco che il giorno successivo dovrò ripartire proprio dal punto in cui mi trovo per cui decido di fermarmi nei pressi di un ristorante (Γκοργκατσι, το μπαλκονι της Κρανιας – Gorgazi, il balcone di Krania) che ha ai suoi piedi un piccolo parco giochi pubblico. Chiedo al proprietario se posso accamparmi lì sotto e utilizzare il bagno del ristorante per rinfrescarmi. Dice che non c’è alcun problema. Posizione bellissima su una balconata da cui si vede tutta la valle e cibo a portata di fauci: non poteva andarmi meglio!
Mentre attendo la cena, come per magia, al tavolo a fianco al mio arriva una ragazza che inizia a scattare selfie con il suo gruppo di amici. Ma…aspetta…quello che ha in mano è proprio un I-Phone!! Eh sì, il finale lo sapete già: la abbordo, le spiego la situazione e mi lascia caricare il telefono per tutta la sera mentre lei ride e scherza con gli altri commensali! Il mio spirito guida, qualcuno che da lassù mi protegge, è arrivato anche oggi a farmi sentire la sua presenza.
Quando la pancia è piena e il telefono carico, mi ritiro nella mia tenda soddisfatto dopo quella lunga giornata di cammino. I piedi fanno un po’ male ma la bellezza di avvicinarmi piano piano al mio traguardo non mi fa sentire il dolore…buonanotte!
Giorno 7: Krania – Chrisomilia
(km 27, dislivello +800/-1.050)
La notte è stata un inferno! Il ristorantino tranquillo dal quale mi sono ritirato abbastanza presto per rifugiarmi nella tenda, è diventato col passare delle ore un locale dove ascoltare musica dal vivo pieno di gente festante. Nemmeno a dirlo i musicisti erano posizionati sulla balconata proprio sopra il parco giochi dove stavo io. Credo siano andati avanti con canti e suonate fino almeno alle due di notte…
Quando mi sveglio, l’aria è sottile, getto uno sguardo verso il paese che dorme ai piedi della collina ancora nella penombra. Risalgo le scalette che portano al ristorante, è stato tutto riordinato, i tavoli puliti e le panche rimesse puntualmente al loro posto. Ho un’intera veranda a disposizione per prepararmi la colazione e sistemare lo zaino prima della ripartenza.
La tappa di oggi è cambiata rispetto al piano iniziale che prevedeva l’ascesa del monte Triggia (2.204m) e l’arrivo a Kleinos. Questo per due motivazioni: principalmente perché non avendo certezza di una connessione gps col cellulare che si sarebbe potuto spegnere nel bel mezzo della giornata, non era assolutamente sicuro avventurarsi in un’impresa simile. In secondo luogo, perché dopo la salita al Lakmos mi sono reso conto che i sentieri di montagna qui sono veramente impervi, percorsi solo dai pastori, ed esplorarli in solitaria può veramente essere pericoloso. Avevo quindi studiato una via alternativa che mi sembrava più abbordabile seppur più lunga: da Krania sarei salito verso i pascoli attorno all’abitato di Konakia per poi dirigermi al paese di Paleochori e da lì a Chrisomilia, all’estremità settentrionale dei monti Koziakas, ultimo baluardo montuoso prima dell’inizio della vasta e fertile piana della Tessaglia.
Mi incammino lungo una strada forestale che sale da Krania e attraversa boschi fittissimi, mantenendosi in quota sul lato sinistro del paese. A quest’ora del mattino il profumo intenso della resina è magico e penetrante, si cammina meravigliosamente. Dopo meno di tre chilometri in leggera salita si raggiunge il piccolo borgo di Konakia: si nota subito una differenza rispetto agli altri paesini. Non si tratta infatti di case in muratura ma di una serie di chalet o capanne in legno che si sviluppano attorno a due strade che partono dall’unico vero edificio del paese: la chiesa, ovviamente! Mi aggiro nelle stradine incuriosito, due anziani stanno riposando nella veranda della loro casa e mi salutano cordialmente, sorridendo.
Proseguo e incontro in un altro chalet Giorgios e sua moglie Efi che mi invitano immediatamente a unirmi a loro per il caffè mattutino. Ne sono felice e accetto di buon grado. Giorgios non parla inglese mentre Efi se la cava discretamente e mi introduce al mondo sconosciuto dei paesi dell’Aspropotamos dandomi alcune informazioni importanti. Mi racconta che questi paesi furono praticamente tutti devastati dai tedeschi durante l’Occupazione degli anni ’40. La gente del posto abbandonò a poco a poco i villaggi, che erano mal collegati e isolati. Ad oggi i residenti permanenti di un paese abbastanza grande rispetto agli altri quale Krania si contano sulle dita di due mani. D’estate i nipoti dei vecchi proprietari che hanno ereditato queste case, tornano a godersi la pace di queste valli e le ripopolano. Loro stessi abitano a Larissa, il capoluogo della Tessaglia a poco più di cento chilometri da lì. A Konakia possiedono questo delizioso chalet di legno. Efi mi dice che Konakia non è un paese bensì nacque come punto di appoggio dei pascoli d’altura. Siamo a circa 1.300 metri di altitudine e nel periodo d’oro – mi dice – c’erano fino a 12.000 pecore da queste parti. Ora rimane un sobborgo di Krania che si popola da giugno a settembre di qualche decina di famiglie. Un posto veramente bello dove mi piacerebbe ritirarmi qualche settimana a scrivere e riposare…
Rimarrei ore con i miei nuovi amici ma la strada chiama. Efi scappa in casa e torna con biscotti e frutta in quantità eccessiva che mi offre per il viaggio. Ne prendo solo una parte, spiegando che lo zaino è già molto pesante. Mi scrive su un bigliettino strappato dalla sua agenda il nome e cognome, Efi Govari, così che la possa cercare sui social e rimanere in contatto.
Riprendo a salire, la meta intermedia è la chiesetta del Salvatore (Εκκλησία Σωτηρίου – Ekklisia Sotiriou) a 1.600m di altezza, il punto più alto della tappa di oggi. Lo scenario è stupendo, alla mia sinistra il Monte Triggia svetta imponente e alla destra il Monte Kaltsa che supera anch’esso i duemila metri. Il sentiero sale esattamente ai piedi di queste due vette e al culmine si trova la chiesetta imbiancata a calce. Entro dal cancelletto di ferro e giro intorno all’edificio, sul retro, dietro l’abside, tre pezzi di legno messi a formare una piccola struttura, reggono una campana solitaria che guarda verso la valle dove è situato il paese di Paleochori.
Sgranocchio qualche biscotto di quelli donatimi da Efi e consulto la mappa. Sembra che ci sia un sentiero abbastanza largo che scende direttamente in paese e che si imbocca giusto alla sinistra della chiesa. In effetti la strada è già ben visibile dal cortile, riprendo lo zaino e parto. I primi due chilometri sono piacevoli, in discesa dolce attraverso la foresta in una gippabile abbastanza larga. A un certo punto però la strada inizia a diramarsi, consulto il gps e seguo la direzione che dovrebbe portare in paese ma dopo nemmeno un chilometro la strada sparisce nel bosco. Vedo una sorta di frana da una parte, dall’altra un sentiero sottile che si inoltra nella boscaglia. Provo a capire ma sembra proprio che della strada comoda e larga che stavo percorrendo non ci sia più traccia. Mi fermo a pensare alle alternative, è troppo pericoloso inoltrarmi da solo. Devo per forza tornare indietro! Dalla chiesa una lunga strada sterrata di ghiaia bianca, adatta anche ai camion, porta a Paleochori facendo un giro lunghissimo per mantenere delle pendenze ridotte. Questo piccolo “detour” mi costerà diversi chilometri extra rispetto a quanti inizialmente previsti ma, tra la certezza di una strada seppur lunga e l’incertezza di un sentiero nel bosco, posso solo scegliere la prima. Ritorno alla chiesetta, risalendo con fatica il tratto prima in discesa e mi incammino sulla larga strada bianca. Si vede che è di recente realizzazione, penso che forse sia stata costruita proprio a seguito della frana che avevo visto sull’altro percorso.
Sono nove lunghissimi chilometri sotto il sole, il primo tratto è praticamente in piano poi inizia la discesa verso il paese. Quando arrivo a Paleochori ho solo voglia di togliermi le scarpe e riposarmi. Il paese è deserto, cerco la piazza e trovo come sempre una graziosa taverna dove mi rifocillo e chiacchiero con due simpatici avventori, anch’essi in vacanza da queste parti perché i genitori erano originari di qui.
Dopo un paio di ore di sosta, riprendo la via e scendo lungo la strada che porta verso la mia meta finale. Non passa un’auto: questa parte dell’Aspropotamos sembra veramente abbandonata. Ancora di più delle valli attorno a Krania. Quando arrivo all’incrocio con la strada principale che porta da Kleinos a Chrisomilia, mi rendo conto di essermi abbassato parecchio di quota. Siamo a soli 700m di altitudine e Chrisomilia sta in cima a uno sperone roccioso a 1.000m. Mi siedo sul ciglio della strada, sono stanchissimo. Ho camminato già tantissimi chilometri, più di quelli che avrei dovuto fare, e quell’ultimo strappo mi sembra inaffrontabile. Vedo in lontananza un pick-up bordeaux che viene nella mia direzione, non ci penso due volte e sollevo il pollice. Si ferma subito, mi carica. Una fortuna sfacciata considerando che dal paese precedente avevo incrociato sì e no due macchine! Nella cabina un signore e due adolescenti, mi fanno un gesto di intesa e partiamo rombando. Nel cassone aperto, l’aria mi rinfresca e mi godo l’ascesa al paese con la vista che piano piano si amplia.
Mi scaricano nella piazza di Chrisomilia, che in greco significa “mela dorata”. Il paese vicino si chiama invece Glikomilia, ovvero “mela dolce”. Mi piace tantissimo scoprire questi piccoli segreti dell’affascinante lingua greca. A Chrisomilia per la prima volta faccio fatica a trovare un posto dove dormire. Le chiesette a cui sono abituato sono molto fuori dal paese e sono troppo stanco per raggiungerle. Chiedo a un’anziana signora se posso accamparmi nel suo giardino, inizia a rispondermi in tedesco facendomi un discorso incomprensibile dal momento che non parlo quella lingua. Finisce con un chiaro e secco “nein”…ancora mi chiedo perché mai mi parlasse in tedesco, forse l’aveva appreso durante l’Occupazione dal momento che deve avere sicuramente più di ottant’anni e pensa che io debba per forza conoscerlo – in quanto straniero!
Sconsolato torno verso il centro del paese e vedo una casa abbandonata con un’ampia zona piastrellata esterna leggermente sopraelevata. Non ci sono cancelli, faccio gli scalini e giro attorno alla casa dove trovo un angolo nascosto dalla vista della strada. Monto la mia tenda, sono all’asciutto e in una zona riparata. Per questa volta niente acqua ma sempre meglio di niente!
Quando ho sistemato tutte le mie cose, torno in centro paese e vado alla griglieria all’angolo. Ordino il grande classico: spiedini “souvlaki” di pollo e maiale e una birra ghiacciata. Parte il solito fuoco di domande e, infine, la mia ormai perenne richiesta: “Conoscete qualcuno che abbia un I-Phone?”. In meno di dieci minuti arriva un ragazzo in scooter sventolando il cavo. Manca solo una tappa, domani sarò a Kalambaka e posso finalmente dire che questo episodio della perdita del cavo alla fine si è rivelato foriero di situazioni divertenti ed emblematiche sulla cordialità e ospitalità del popolo greco!
Quando è ormai buio, torno verso la tenda. Anche oggi è stata una giornata impegnativa ma ormai sento il traguardo che si avvicina e volo sulle ali dell’entusiasmo. Domani, finalmente, la sagoma scura e imponente delle Meteore si staglierà sull’orizzonte e questo pensiero mi culla, accompagnandomi tra le braccia di Morfeo.