Grande Moschea di Bani Burkina Faso
Home » Archives » Il mondo magico di Bani

Il mondo magico di Bani

Burkina Faso – Giorno 2

La vita inizia presto a Bani. In un villaggio che segue il ritmo del sole non può essere altrimenti. Mi sveglio con il belato delle capre. Non so se ci sono più capre o bambini, o bambini che tirano capre. Noum è di ottimo umore, ci sediamo nel cortile di casa dove le sue sorelle sono già affaccendate, una lava le stoviglie e l’altra ripone il pesce cotto ieri sera in grosse pentole storte. Caffè e omelette. Insegno un po’ di inglese a Noum, è felice perché stasera arrivano altri due turisti francesi. Da quando in Mali la situazione è precipitata, qui non viene più nessuno. Su tutti i siti europei di sicurezza, è sconsigliato inoltrarsi verso il Sahel. Un vero peccato per chi non viene!

Bani Burkina Faso
Bambini a Bani inseguono le capre
"Tenera è la notte"

Noum mi porta alla Grande Moschea. Il cielo promette tempesta, ma si rivelerà solo una breve sciacquata. Davanti alla moschea sono radunati alcuni anziani, forse gli unici del paese. Credo ormai di essere famoso, tutti mi salutano e i bambini cantano canzoni per me e vogliono che li fotografi per poi rivedersi nello schermo. Sensazione strana per loro — immagino. Mi racconta che gli imam sono ora quattro, il profeta eretico è ancora in vita, ha 83 anni ma non si fa vedere. Che personaggio, pagherei per conoscerlo!

Grande Moschea di Bani Burkina Faso
Grande Moschea di Bani

La moschea è un gioiello, la facciata è istoriata con forme umane e geometriche che chissà cosa vogliono raccontare. Dentro troviamo pelli di capre, chiedo a cosa servano e Noum mi dice che sono per pregare…al posto dei tappeti. Gli animali sono la vita, tutti possiedono capre e i più benestanti vitelli e mucche di una magrezza estrema. Noum mi porta a conoscere la famiglia di uno degli imam, i bambini che fino ad allora ci seguivano, si fermano. Capisco di essere privilegiato a poter entrare.

E quante donne in questa famiglia, che meraviglia! Sono tante, belle, con la pelle d’ebano liscissima. Le loro case sono radunate in un recinto di vicoletti, un dedalo. Sono affaccendate ma si fermano per salutarmi e mostrarmi il loro lavoro. Stanno cucinando il , una polenta di miglio base della alimentazione burkinabé, con una salsa fatta di foglie di baobab. Assaggio, strana, molto vegetale.

Cortile di casa dell'imam
Preparazione salsa di foglie di baobab
Animali nella casa dell'imam

Conosco la nonna, un’arzilla vecchietta che mi racconta nella sua lingua incomprensibile cose che solo posso immaginare. Mima il gesto di una pistola, credo mi dica qualcosa sul marito. Gli uomini in età adulta sono pochi, l’unico lavoro della zona è quello di minatore nelle miniere d’oro e sono tutti al lavoro ora. Leggo sulla mia guida che stanno crescendo le ricerche di oro nel sottosuolo, con conseguente sfruttamento della manodopera che viene ripagata secondo quanto ognuno riesce a estrarre. Non estrai nulla, non vieni pagato. Una guerra al massacro!

Anziana di casa dell'imam

Risalgo sulla collina per vedere le moschee secondarie che sembrano vecchissime perché tutte diroccate. Hanno solo cinquant’anni ma le piogge le hanno distrutte, essendo fatte di fango indurito. In paese il “solito” codazzo di bambini mi accompagna festoso, tanti stanno sollevando acqua al pozzo e altri portano fascine sulla testa. Solo i bambini molto piccoli non lavorano, tutti gli altri si danno da fare.

Moschea sulla collina di Bani
Moschea sulla collina di Bani

Di scuole purtroppo nemmeno l’ombra, l’analfabetismo è elevato. Nelle zone rurali tocca percentuali altissime, l’accesso all’istruzione è negato. E dire che negli anni ’80, un uomo ha provato a cambiare le cose. Il comandante Thomas Sankara, capo della rivoluzione burkinabé, che al grido di “il ben fatto non è mai perso” si propose e riuscì a garantire al suo popolo almeno dieci litri di acqua potabile pro-capite e fece costruire scuole in tutte le zone del paese, anche quelle più remote. Quattro anni di rivoluzione che non devono essere piaciuti ai francesi che, preoccupati di perdere il controllo del paese e che la rivoluzione si potesse estendere ai paesi vicini, fecero ammazzare il comandante Sankara per mano di Blaise Compaoré, ex compagno di battaglie rivoluzionarie e poi corrotto dal potere, tenuto saldamente in mano dal 1987 al 2014 quando i burkinabé incendiarono il parlamento e lo cacciarono. Il giorno dopo i burkinabé scesero a pulire le strade messe a ferro e fuoco per ventiquattro ore per cacciare Compaoré, scortato fuori dal paese dai francesi. Che popolo questi burkinabé, non per altro Burkina Faso significa “Paese degli uomini integri”, unione di due parole in due delle infinite lingue locali, così chiamato da Sankara dopo la rivoluzione. Se volete sapere di più su questa pagina di storia sconosciuta e taciuta, vi consiglio il libro “L’Africa di Thomas Sankara” di Carlo Batà, un libro illuminante e commovente sul Burkina e l’Africa tutta. E sul male dell’Occidente, leggetelo e poi riparliamo dell’ISIS e di quanto male abbiamo seminato nel mondo. Noi, usurpatori e ladri di terra.

Porta della Grande Moschea di Bani
Porta della Grande Moschea di Bani

Torno a Le Nomade e saluto Noum, è ora di tornare a Ouaga. Lo abbraccio, per me Bani occupa già un ricordo speciale di questo viaggio. Fermo alla “stazione”, un capanno sul ciglio della strada, osservo i banchetti e scopro che la benzina si vende in bottiglia. Ora che ci penso non ho visto benzinai in zona, si ferma una macchina, tira fuori dal bagagliaio una canna e compra tre bottiglie di benzina. Dovrei tornare diretto a Ouaga ma il bus è stranamente veloce, non si ferma in ogni villaggio come l’altro ma corre sull’asfalto malmesso. Decido così di saltar giù a Ziniaré, a un’ora da Ouagadougou. A sei chilometri c’è il parco di sculture di Laongo. Pensavo di andare in bici, vedo un negozio di ricambi sulla strada e chiedo. Come sempre grande partecipazione dei locali che mi sconsigliano la bicicletta (per fortuna). Convocano immediatamente degli amici che hanno un mezzo a metà tra un’ape-car e un motorino e in men che non si dica siamo per strada: io e Romaric nel cassone e lo zio alla guida. Romaric ha un sorriso stupendo, bianchissimo, mi chiama “mon frère”, fratello.

Con Romaric

Loango è un parco en-plen-air che ha centinaia di sculture di artisti da tanti paesi del mondo, dal Burkina, Mali, Francia, Svizzera, Costa d’Avorio e altri. Sono accorsi qui negli anni ‘80 e ‘90 e ognuno ha scolpito un pezzo di granito del parco lasciando una sua opera. Alcune sono curiose. Torno con il mio nuovo fratello Romaric a Ziniaré, sulla strada mi chiede il numero di telefono. Lo fanno tutti, ma proprio tutti. Ho più numeri di telefono dopo due giorni qui in Burkina che dopo un anno a Milano! Che poi anche volendo cosa posso dirgli al telefono? Sarebbe una conversazione quanto meno comica. Di nuovo sulla strada, questa volta è proprio ora di tornare a Ouaga, tra poco arrivano Flora, Makeda e Corinne. Domani inizia il campo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *