Camerun – giorni #6-8
Incontro Pepijn in un bar di Foumban, iniziamo a chiacchierare: trovare altri bianchi a queste latitudini non è così consueto. Pepijn è un signore olandese sposato con una donna camerunese che, dopo tanti anni in Olanda, ha deciso di venire a vivere nel paese della moglie.
Vent’anni fa la sua azienda lo mandò per la prima volta in Camerun. Mi racconta che lavorava per un’azienda olandese che esporta legno in Europa. Attività molto redditizia in quanto il legno pregiato è una delle materie prime più ricercate ed esportate dal paese.
Nelle regioni Sud e Est, quelle ricoperte dalla foresta equatoriale, interi ettari di bosco vengono giornalmente abbattuti per ricavare il prezioso materiale che viene poi spedito ai quattro angoli del globo. Cinesi, europee, americane: imprese di tutto il mondo si stabiliscono qui per disboscare e esportare.
Mi racconta come avviene quello che di fatto è un vero e proprio furto di materia prima. In pratica l’azienda straniera, olandese in questo caso, ha due sedi. Quella camerunese taglia i boschi e lavora il legno per poi venderlo alla sede olandese ad un prezzo molto inferiore del prezzo di mercato. Questa azienda rivenderà poi il prodotto in Europa a prezzi decuplicati ricavando così enormi profitti e depauperando quindi il paese di origine, sia in termini di mancati ingressi di tasse per lo stato camerunese sia in termini di materia prima.
Ed è così che, complici i governatori locali corrotti che vengono compensati con grasse mazzette, l’Africa viene svuotata, depredata, affamata.
Forse bisognerebbe far conoscere al nostro popolo queste e tante altre storie. Forse l’opinione pubblica avrebbe una visione un po’ più critica di quello che succede in Africa e del perché tanti giovani vogliano andarsene.
Un paese piegato da un sistema politico talmente colluso con i poteri occidentali, che non dà altra possibilità ai propri giovani che quella di scappare. Un presidente in carica dal 1982 (quando sono nato io!!) che fa sparire i propri oppositori politici, quando qualcuno osa guardare dentro il suo giardino.
Sono stati tre giorni molto intensi fatti di incontri interessanti. Sono ora tornato a Yaoundé da dove stasera ripartirò in treno per raggiungere Ngaoundéré, 800 km più a nord dove mi attende un’avventura nell’avventura alla scoperta di una zona del paese completamente diversa da quella vista finora. Ma ci sarà tempo per raccontarvela.
Per due giorni sono stato ospite di Serge, un capovillaggio tornato nel suo paese dopo più di quindici anni di lavoro in Italia. È stato molto interessante scoprire la cultura tradizionale del popolo bamiléké. La struttura sociale si basa su comunità dirette da capi locali (di diverso ordine e grado, che risiedono nelle cosiddette “chefferie“) che hanno vari poteri e responsabilità sui propri cittadini. Il titolo è ereditario per cui quando il padre di Serge è morto, lui è stato designato come nuovo capo villaggio ed è stato “costretto” a tornare in patria per prendere il comando. Sento tutto il peso della responsabilità nelle sue parole. Sento che è stato un passo non facile, tornare qui in mezzo ai problemi della sua gente quando in Italia stava costruendo una nuova vita, un futuro forse più semplice.
Quando passiamo con la macchina in mezzo al villaggio tutte le persone lo chiamano “majesté”, maestà. Uomini e donne vanno e vengono da casa sua. È il punto di riferimento per qualsiasi diverbio, problema e, semplicemente, deve essere informato di tutto quello che succede nel villaggio. Lo chiama un signore per dirgli che la moglie è morta, un altro per risolvere un problema di eredità di un terreno. E tutto questo ovviamente senza alcun compenso, il capo è fatto per questo.
Siamo anni luce lontani dalla cultura occidentale del coltivare il proprio orto e ignorare quello che succede al tuo vicino di casa, del non saperne nemmeno il nome a volte. Qui la vita si basa sul concetto di comunità, di mutuo soccorso, si vive insieme nel bene e nel male.
Approfitto della mia permanenza a Dschang per fare qualche scorribanda in giro in moto. Trovo il sosia di Lino Banfi in versione nera che mi accompagna a vedere le cascate sacre di Mami Wata ad un’ora e mezza di moto per le piste di terra dell’Ovest del Camerun, vicino al villaggio di Fongo-Tongo dove ci fermiamo per pranzo.
La sera mi ritrovo con Serge a chiacchierare, ogni tanto parlare nella propria lingua aiuta a capire meglio il paese in cui ci si trova.
Quando lascio Dschang, Serge deve scappare a Yaoundé per un impegno dell’ultimo minuto. Mi lascia a Bafoussam e sono di nuovo in strada.
Prendo un taxi-brousse per Foumban, a una ventina di chilometri dall’arrivo salgono due ragazzi. Sono fratelli, Aska attacca subito bottone. È un giovane ventiquattrenne che vuole fortissimamente trovare una soluzione alla sua vita precaria. “Non posso vivere in questa sporcizia” mi dice. Passiamo il pomeriggio insieme, Aska mi mostra Foumban, la capitale del potentissimo regno bamoun. Un regno fondato nel XIV secolo e ancora governato da un re che vive in un sontuoso palazzo al centro della città. Su una parete del cortile, sono elencati tutti i re e raffigurati con un ritratto.
Tra una visita e l’altra Aska cerca di coinvolgermi in affari più o meno leciti di compravendita di oggetti d’arte antica. Metto subito le cose in chiaro — pur titubando che quello che mi sta proponendo sia vero — che non sono interessato a traffici strani. In fondo sento che sono solo due ragazzi che cercano una soluzione alla loro miseria, per cui gli do fiducia e la mattina dopo li raggiungo al loro villaggio dove mi presentano la famiglia. Aska vuole che io torni assolutamente per il grande festival bamoun che viene organizzato ogni due anni. Mi dice che posso portare tutti i miei amici e che ovviamente saremo ospiti da lui. Si batte la mano sul petto in segno di promessa.
Prendiamo la moto e tra una buca e uno scivolone arriviamo al lago sul monte Mbapit dove i locali cercano di farmi pagare un biglietto di ingresso spropositato. Ci pensano Aska e suo fratello a mettere le cose in chiaro. Il bianco n’a pas d’argent, non ha soldi. Passiamo con un piccolo contributo, questa volta onesto.
Al ritorno la moto si ferma tre volte, in un villaggio troviamo un meccanico che ce la sistema. Riusciamo ad arrivare a Foumbot da dove prendo un’auto (siamo in otto: quattro davanti e quattro dietro, non chiedetemi come sia possibile ma sì, è possibile) per tornare a Bafoussam.
Saluto i miei nuovi amici, Aska mi abbraccia e ci promettiamo di restare in contatto.
Arrivo a Yaoundé a sera inoltrata quando Jobbs mi viene a raccogliere col cucchiaino dopo quasi otto ore di viaggio.
Tra poco inizia una nuova avventura sulle strade d’Africa.